Villaggio San Simone

“Quell’isola di terra argillosa e grassa; fertile vallata con le colline basse e nude d’alberi, coltivata a cereali e a foraggere, che a primavera diventa mare d’erba, di verdi chiari e si colora d’oro d’estate col grano e le stoppie, che una strada provinciale taglia netta da Est a Ovest, da Mandas a Villanovafranca, come una ferita rimarginata d’asfalto. Villaggio fatto di povere case basse, muri di pietra e fango, con i giacigli di paglia per la notte, affogate nei cardi e nelle ortiche sembrano quasi che galleggino”. (соvì viene descritto il territorio di San Simone dal poeta L. Murtas).
Questa é la campagna o “salto” di San Simone di Escolca col suo villaggio antichissimo nato, forse, sulle rovine di un antico nuraghe (da qui la denominazione della zona anche соте NURAXT).

Al centro del villaggio troneggia la piccola chiesa col campanile a vela un po’ sbilenco ad una sola luce, la croce in pietra, corrosa e mutilata; un rosone incompleto e ridotto a un buco deforme, sopra l’architrave sconnessa del portone. Casa del simulacro e del culto, centro di fede e di preghiera, da cui attinge la speranza e la forza il popolo dei campi.

Questo villaggio ed il territorio che lo circonda appartiene ad Escolca. Esso è frazionato in piccole proprietà e ne godono quasi tutte le famiglie. Il borgo si chiama Nuraxi о San Simone e Pumico die villaggi scomparsi della Sardegna che abbia conservato la sua funzione economica e religiosa.

I terreni sono ubicati tra il territorio di Gergei a nord, quello di Mandas a est, quello di Gesico a sud

e di Villanovafranca e Barumini a ovest.

Dal centro abitato di Escolca dunque, per recarsi а Nuraxi – San Simone, distante circa 8 km, bisogna attraversare il territorio di Gergei, percorrendo delle vecchie strade carrabili о la strada di penetrazione agraria, ormai tutta asfaltata, che immette sulla provinciale Mandas-Vilanovafranca: oppure bisogna passare da Mandas, attraverso la strada statale 128, per poi immettersi sulla strada provinciale anzidetta, allungando di poco il percorso.

LA STORIA-LEGGENDA

Il possesso di questi terreni e del borgo da parte della comunità di Escolca ha origini lontane che ci

riportano verso la prima meta del XVII secolo e qualcuno fissa l’abbandono del villaggio, da parte degli originari abitanti, intorno al 1612 a causa della peste che divampò in Europa e che non risparmi la nostra terra.

Le notizie storiche dicono che Mandas a causa della peste fu dimezzata. Contava infatti duemila abitanti е ne morirono oltre mille. Mentre Escolca perse solo tre abitanti.

La tradizione orale, testimonianza radicata profondamente nelle genti di Escolca, tramandata da generazioni di contadini e pastori, racconta che le popolazioni del luogo, decimate dalla peste e dalla carestia, andavano vagando e confuse, nutrendosi del poco che la natura offriva. Attaccati al loro villaggio е alla loro terra stentavano nel prendere la decisione di abbandonarli. La loro terra, la loro chiesa con i suoi simulacri li teneva uniti, consapevoli del rischio che una comunità, abbandonando il suo nucleo di origine perde anche la propria identità, le proprie radici, il culto ancestrale ‏e i riti che accomunano e uniscono.

Intanto cercavano, nei paesi confinanti, ospitalità e assistenza, ma si videro rifiutati da tutti; solo Escolca, povera e generosa offri loro quello di cui avevano bisogno. Fu cosi che gli abitanti di quel villaggio, in cambio dell’ ospitalità ricevuta, offrirono in dote il loro borgo e tutto il territorio alla comunità di Escolca.

Qualche tempo dopo però gli abitanti di Mandas, resisi conto dello sbaglio commesso nel non offrire ospitalità agli esuli di San Simone, spinti sia dall’ingordigia contestarono l’atto di donazione a favore di Escolca avendo preso atto di aver perso un territorio соsì fertile e prezioso. Debellata la peste, i pochi sopravvissuti della comunità originaria di San Simone fecero ritorno al Villaggio insieme con i loro “salvatori”. Ritornarono per festeggiare la sopravvivenza e per ringraziare il santo. Ma, in quell’occasione esplose la contestazione in merito alla donazione dell’intero territorio fatta a favore degli abitanti di Escolca.

La controversia andava per le lunghe e, allora, fu deciso di risolvere la questione, per esorcizzare i pericoli di una contesa che poteva sfociare in atti violenti, affidandosi ad una sorta di “giudizio di Dio e del Santo”.

Presero due buoi, uno di Escolca e uno di Mandas, li aggiogarono al carro sopra il quale era stata sistemata la statua del Santo. I bue vennero condotti verso una strada che giunta ad una biforcazione

рoteva condurre о in direzione di Escolca о in direzione di Mandas. Convennero che il territorio sarebbe andato in dote alla comunità di appartenenza del bue che avrebbe portato l’altro verso la sua parte. La gente incitava e attendeva l’esito. Lo sforzo enorme dei due animali, nel tentativo di condurre il carro verso la propria parte, fece spezzare il giogo e il bue di Escolca ebbe la meglio, prevalendo sull’altro e indirizzandosi decisamente verso il proprio paese.

Venne cosi confermata definitivamente la proprietà del territorio alla gente di Escolca. Nacque sicuramente in quel momento la grande festa di San Simone, che si ripete ogni anno ancora oggi.

LA FESTA

La festa di San Simone si celebra nei giorni di Pentecoste. In passato si partiva da Escolca verso il borgo di San Simone la domenica di Pentecoste. Attualmente si parte il sabato nel primo pomeriggio, dopo aver celebrato una messa nella chiesa parrocchiale ed aver accompagnato il Santo in processione all’ingresso del paese in direzione di Gergei. Qui il sacerdote, dopo aver impartito la solenne benedizione, consegna il simulacro del Santo alla popolazione ed inizia il viaggio verso il villaggio.

Il viaggio della festa, momento determinante ed estremamente coinvolgente, è preparato con cura con molti giorni di anticipo.

І carri trainati dai buoi erano scortati ciascuno da un cavaliere con relativa dama seduta in groppa dietro di lui; amazzoni vestite di fiori e sorrisi di festa, coi vestiti più belli e preziosi.

Il corteo veniva aperto dal carro con il simulacro del santo. II primo carro era “Sa tracca”, che veniva curata in modo particolare. Infatti, si costruiva sopra il carro una specie di soppalco con la soffitta a volta, in tela di lino addobbata con stoffe preziose, tralci di pervinca e tanti fiori. Una croce veniva sistemata a prua della “tracca”. La croce costruita da abili mani contadine aveva le braccia di spighe di grano, scelte nei campi durante l’ultimo raccolto. Seguiva poi il carro dell’obriere, l’organizzatore della festa, che varia di anno in anno perché с’è sempre qualcuno che deve sciogliere un voto o ringraziare il santo.

Ogni carro conteneva il necessario per due giorni di festa, non mancava niente: materassi, stoviglie, acqua, ma soprattutto vino, agnelli, porchetti e quanto di meglio le massaie sapevano preparare.

Elemento fondamentale della festa era, inoltre, il suonatore del ballo sardo che faceva scatenare uomini, donne e bambini, Presi а braccetto si ballava in tondo nella polverosa piazzetta, i lunghi e faticosi balli venivano eseguiti dai ballerini sfidandosi nel compiere ardite acrobazie e incredibili “sciampittas”.

Era festa di popolo, era l’occasione per riunire le famiglie che avevano і parenti lontano e i visitatori venivano trattati come si conviene e si usa nelle nostre comunità.

Cavalli e cavalieri precedevano e seguivano la fila dei carri, carichi di persone che cantavano inni religiosi о canti pagani а seconda delle circostanze. Giravano le pesanti ruote dei carri, sfilavano sulla strada polverosa, trainati dall’incedere lento e solenne dei buoi, con le coma ornate di pomo di frutta rossa e il collo cinto da larghe collane di stoffa preziosa tessuta al telaio antico, con le figure stilizzate in rilievo e con, appese, campanelle di bronzo dal tintinnio allegro di festa.

Attraversato il paese di Gergei, il viaggio continuava; si snodava la lunga fila dei carri tra l’allegria gesticolante e rumorosa; ognuno si lasciava dietro, almeno per due giorni, le angosce, le miserie e le preoccupazioni per il magro raccolto. Cominciava allora la girandola dei fiaschi e de “is cubeddas” (piccole fiasche di legno di castagno o di ginepro piene di buon vino) che passavano di mano in mano tra i cavalieri e i passeggeri dei carri, in reciproche offerte.

Vicini alla meta, quando già incombe il tramonto, si avanzava lungo argini colmi di spighe ancora verdi, si entrava nel villaggio con l’aria inondata di musica e canti.

Dopo aver sistemato bagagli ed animali nelle rispettive “lollas” e cortili, si rendevano gli onori al Santo, il cui simulacro era stato alloggiato nella chiesetta. Si incrociavano volti distesi e labbra oranti mentre bruciavano le candele di fede: piccole luci per la grande fiamma!!

Dopo la consumazione della cena e la recita del rosario cominciava la grande festa nel villaggio polveroso, nella piazzetta della chiesa il suonatore dava inizio al primo ballo. Il primo di una lunga notte che veniva consumata sia nella piazza sia in tutte le “lolle” del villaggio e terminava al sorgere del sole.

Intanto, ovunque, si offrivano caffè e dolci e tutti si mobilitavano per ргерагате il grande pranzo, da consumare dopo i riti religiosi: la processione, la benedizione dei campi e la messa solenne celebrata nella chiesa stipata all’inverosimile.

Il pranzo, il pasto principale, abbondante e ricco, veniva preparato con la partecipazione di tutti, uomini e donne, e consumato dentro le “lollas”, unico vano delle casette.

Finito il pranzo, iniziavano le visite agli amici, si cominciava con il giro delle lollas e con i balli.

Alla fine, pег il viaggio di rientro, si passava da Mandas con i carri che si rimettevano in fila per riprendere il cammino verso il centro di Escolca.

Ricominciava la danza delle fiasche, coinvolgendo chiunque si incontrava per strada. La prima fermata era (di regola) nella piazza principale di Mandas, dove i carri creavano po’ di trambusto ma l’aria di festa e di allegria collettiva cancellava presto ogni disagio.

La seconda e ultima sosta era per la “ merenda” e veniva fatta a meta strada tra Mandas ed Escolca, sui prati del bivio, in località Genniau.

La merenda era l’epilogo della festa, Іа chiusura in bellezza.… la fine dell’avventura e della favola;

era la baldoria finale che chiamava a raccolta i vicini abitanti di Serri e i passanti della strada. Tutti

erano invitati ad assaggiare le carni, i dolci e un bicchiere di vino.

Ormai al crepuscolo, i carri si rimettevano in marcia per percorrere gli ultimi tre chilometri per il rientro al paese dove si riportava il simulacro del santo nella chiesa parrocchiale. Questa era la notte del riposo. Domani si ballerà ancora, ma la festa era finita.

LA FESTA OGGI

La meccanizzazione dell’agricoltura ha causato la scomparsa totale dei buoi, sono rimasti pochi cavalli. Erano loro, e un poco anche il vino, i simboli animati e fecondi, i protagonisti e contribuenti della vita contadina; testimoni e compagni della comunità nella fatica e nella festa.

La loro scomparsa ha costretto ad una trasposizione degli elementi e servirsi dei mezzi meccanici in loro sostituzione. Trattori al posto dei buoi, macchine al posto dei cavalli e dei carri.

 

Però “sa tracca” viene allestita allo stesso modo, su un rimorchio trainato da un trattore. I carri vengono sostituiti da altri mezzi ma sempre addobbati allo stesso modo, con la stessa fantasia, con lo stesso amore e devozione.

 

Il viaggio con i suoi canti, il vino, l’allegria е la festa continuano ad essere quelli di sempre. Si é conservato lo spirito di festa popolare dell’intero paese, antica e contadina, senza cadere nelle ostentazioni folcloristiche o esibizioni.

 

Gli abitanti di Escolca si sentono gli eredi della terra, del sito, e del rito ancestrale, eredi sopravvissuti dei “sopravvissuti”. Partecipi di una eterna riconoscenza verso il Santo ed un territorio che è‎ la fonte di vita e di ricchezza delle sue genti.

Saranno sempre qui, uomini e coscienze, animali e macchine per rappresentare la storia, la fatica е la festa, finché il grande cuore di Escolca pulsa є pulserà di vita e di devozione. Ancora oggi il rito ed il villaggio sono rimasti fermi nel tempo e nello spazio.

Villaggio San Simone

“Quell’isola di terra argillosa e grassa; fertile vallata con le colline basse e nude d’alberi, coltivata a cereali e a foraggere, che a primavera diventa mare d’erba, di verdi chiari e si colora d’oro d’estate col grano e le stoppie, che una strada provinciale taglia netta da Est a Ovest, da Mandas a Villanovafranca, come una ferita rimarginata d’asfalto. Villaggio fatto di povere case basse, muri di pietra e fango, con i giacigli di paglia per la notte, affogate nei cardi e nelle ortiche sembrano quasi che galleggino”. (соvì viene descritto il territorio di San Simone dal poeta L. Murtas).

Questa é la campagna o “salto” di San Simone di Escolca col suo villaggio antichissimo nato, forse, sulle rovine di un antico nuraghe (da qui la denominazione della zona anche соте NURAXT).

Al centro del villaggio troneggia la piccola chiesa col campanile a vela un po’ sbilenco ad una sola luce, la croce in pietra, corrosa e mutilata; un rosone incompleto e ridotto a un buco deforme, sopra l’architrave sconnessa del portone. Casa del simulacro e del culto, centro di fede e di preghiera, da cui attinge la speranza e la forza il popolo dei campi.

Questo villaggio ed il territorio che lo circonda appartiene ad Escolca. Esso è frazionato in piccole proprietà e ne godono quasi tutte le famiglie. Il borgo si chiama Nuraxi о San Simone e Pumico die villaggi scomparsi della Sardegna che abbia conservato la sua funzione economica e religiosa.

I terreni sono ubicati tra il territorio di Gergei a nord, quello di Mandas a est, quello di Gesico a sud e di Villanovafranca e Barumini a ovest.

Dal centro abitato di Escolca dunque, per recarsi а Nuraxi – San Simone, distante circa 8 km, bisogna attraversare il territorio di Gergei, percorrendo delle vecchie strade carrabili о la strada di penetrazione agraria, ormai tutta asfaltata, che immette sulla provinciale Mandas-Vilanovafranca: oppure bisogna passare da Mandas, attraverso la strada statale 128, per poi immettersi sulla strada provinciale anzidetta, allungando di poco il percorso.

LA STORIA-LEGGENDA

Il possesso di questi terreni e del borgo da parte della comunità di Escolca ha origini lontane che ci riportano verso la prima meta del XVII secolo e qualcuno fissa l’abbandono del villaggio, da parte degli originari abitanti, intorno al 1612 a causa della peste che divampò in Europa e che non risparmi la nostra terra.

Le notizie storiche dicono che Mandas a causa della peste fu dimezzata. Contava infatti duemila abitanti е ne morirono oltre mille. Mentre Escolca perse solo tre abitanti.

La tradizione orale, testimonianza radicata profondamente nelle genti di Escolca, tramandata da generazioni di contadini e pastori, racconta che le popolazioni del luogo, decimate dalla peste e dalla carestia, andavano vagando e confuse, nutrendosi del poco che la natura offriva. Attaccati al loro villaggio е alla loro terra stentavano nel prendere la decisione di abbandonarli. La loro terra, la loro chiesa con i suoi simulacri li teneva uniti, consapevoli del rischio che una comunità, abbandonando il suo nucleo di origine perde anche la propria identità, le proprie radici, il culto ancestrale ‏e i riti che accomunano e uniscono.

Intanto cercavano, nei paesi confinanti, ospitalità e assistenza, ma si videro rifiutati da tutti; solo Escolca, povera e generosa offri loro quello di cui avevano bisogno. Fu cosi che gli abitanti di quel villaggio, in cambio dell’ ospitalità ricevuta, offrirono in dote il loro borgo e tutto il territorio alla comunità di Escolca.

Qualche tempo dopo però gli abitanti di Mandas, resisi conto dello sbaglio commesso nel non offrire ospitalità agli esuli di San Simone, spinti sia dall’ingordigia contestarono l’atto di donazione a favore di Escolca avendo preso atto di aver perso un territorio соsì fertile e prezioso. Debellata la peste, i pochi sopravvissuti della comunità originaria di San Simone fecero ritorno al Villaggio insieme con i loro “salvatori”. Ritornarono per festeggiare la sopravvivenza e per ringraziare il santo. Ma, in quell’occasione esplose la contestazione in merito alla donazione dell’intero territorio fatta a favore degli abitanti di Escolca.

La controversia andava per le lunghe e, allora, fu deciso di risolvere la questione, per esorcizzare i pericoli di una contesa che poteva sfociare in atti violenti, affidandosi ad una sorta di “giudizio di Dio e del Santo”.

Presero due buoi, uno di Escolca e uno di Mandas, li aggiogarono al carro sopra il quale era stata sistemata la statua del Santo. I bue vennero condotti verso una strada che giunta ad una biforcazione рoteva condurre о in direzione di Escolca о in direzione di Mandas. Convennero che il territorio sarebbe andato in dote alla comunità di appartenenza del bue che avrebbe portato l’altro verso la sua parte. La gente incitava e attendeva l’esito. Lo sforzo enorme dei due animali, nel tentativo di condurre il carro verso la propria parte, fece spezzare il giogo e il bue di Escolca ebbe la meglio, prevalendo sull’altro e indirizzandosi decisamente verso il proprio paese.

Venne cosi confermata definitivamente la proprietà del territorio alla gente di Escolca. Nacque sicuramente in quel momento la grande festa di San Simone, che si ripete ogni anno ancora oggi.

LA FESTA

La festa di San Simone si celebra nei giorni di Pentecoste. In passato si partiva da Escolca verso il borgo di San Simone la domenica di Pentecoste. Attualmente si parte il sabato nel primo pomeriggio, dopo aver celebrato una messa nella chiesa parrocchiale ed aver accompagnato il Santo in processione

all’ingresso del paese in direzione di Gergei. Qui il sacerdote, dopo aver impartito la solenne benedizione, consegna il simulacro del Santo alla popolazione ed inizia il viaggio verso il villaggio.

Il viaggio della festa, momento determinante ed estremamente coinvolgente, è preparato con cura con molti giorni di anticipo.

І carri trainati dai buoi erano scortati ciascuno da un cavaliere con relativa dama seduta in groppa dietro di lui; amazzoni vestite di fiori e sorrisi di festa, coi vestiti più belli e preziosi.

Il corteo veniva aperto dal carro con il simulacro del santo. II primo carro era “Sa tracca”, che veniva curata in modo particolare. Infatti, si costruiva sopra il carro una specie di soppalco con la soffitta a volta, in tela di lino addobbata con stoffe preziose, tralci di pervinca e tanti fiori. Una croce veniva sistemata a prua della “tracca”. La croce costruita da abili mani contadine aveva le braccia di spighe di grano, scelte nei campi durante l’ultimo raccolto. Seguiva poi il carro dell’obriere, l’organizzatore della festa, che varia di anno in anno perché с’è sempre qualcuno che deve sciogliere un voto o ringraziare il santo.

Ogni carro conteneva il necessario per due giorni di festa, non mancava niente: materassi, stoviglie, acqua, ma soprattutto vino, agnelli, porchetti e quanto di meglio le massaie sapevano preparare.

Elemento fondamentale della festa era, inoltre, il suonatore del ballo sardo che faceva scatenare uomini, donne e bambini, Presi а braccetto si ballava in tondo nella polverosa piazzetta, i lunghi e faticosi balli venivano eseguiti dai ballerini sfidandosi nel compiere ardite acrobazie e incredibili “sciampittas”.

Era festa di popolo, era l’occasione per riunire le famiglie che avevano і parenti lontano e i visitatori venivano trattati come si conviene e si usa nelle nostre comunità.

Cavalli e cavalieri precedevano e seguivano la fila dei carri, carichi di persone che cantavano inni religiosi о canti pagani а seconda delle circostanze. Giravano le pesanti ruote dei carri, sfilavano sulla strada polverosa, trainati dall’incedere lento e solenne dei buoi, con le coma ornate di pomo di frutta rossa e il collo cinto da larghe collane di stoffa preziosa tessuta al telaio antico, con le figure stilizzate in rilievo e con, appese, campanelle di bronzo dal tintinnio allegro di festa.

Attraversato il paese di Gergei, il viaggio continuava; si snodava la lunga fila dei carri tra l’allegria gesticolante e rumorosa; ognuno si lasciava dietro, almeno per due giorni, le angosce, le miserie e le preoccupazioni per il magro raccolto. Cominciava allora la girandola dei fiaschi e de “is cubeddas” (piccole fiasche di legno di castagno o di ginepro piene di buon vino) che passavano di mano in mano tra i cavalieri e i passeggeri dei carri, in reciproche offerte.

Vicini alla meta, quando già incombe il tramonto, si avanzava lungo argini colmi di spighe ancora verdi, si entrava nel villaggio con l’aria inondata di musica e canti.

Dopo aver sistemato bagagli ed animali nelle rispettive “lollas” e cortili, si rendevano gli onori al Santo, il cui simulacro era stato alloggiato nella chiesetta. Si incrociavano volti distesi e labbra oranti mentre bruciavano le candele di fede: piccole luci per la grande fiamma!!

Dopo la consumazione della cena e la recita del rosario cominciava la grande festa nel villaggio polveroso, nella piazzetta della chiesa il suonatore dava inizio al primo ballo. Il primo di una lunga notte che veniva consumata sia nella piazza sia in tutte le “lolle” del villaggio e terminava al sorgere del sole.

Intanto, ovunque, si offrivano caffè e dolci e tutti si mobilitavano per ргерагате il grande pranzo, da consumare dopo i riti religiosi: la processione, la benedizione dei campi e la messa solenne celebrata nella chiesa stipata all’inverosimile.

Il pranzo, il pasto principale, abbondante e ricco, veniva preparato con la partecipazione di tutti, uomini e donne, e consumato dentro le “lollas”, unico vano delle casette.

Finito il pranzo, iniziavano le visite agli amici, si cominciava con il giro delle lollas e con i balli.

Alla fine, pег il viaggio di rientro, si passava da Mandas con i carri che si rimettevano in fila per riprendere il cammino verso il centro di Escolca.

Ricominciava la danza delle fiasche, coinvolgendo chiunque si incontrava per strada. La prima fermata era (di regola) nella piazza principale di Mandas, dove i carri creavano po’ di trambusto ma l’aria di festa e di allegria collettiva cancellava presto ogni disagio.

La seconda e ultima sosta era per la “ merenda” e veniva fatta a meta strada tra Mandas ed Escolca, sui prati del bivio, in località Genniau.

La merenda era l’epilogo della festa, Іа chiusura in bellezza.… la fine dell’avventura e della favola;

era la baldoria finale che chiamava a raccolta i vicini abitanti di Serri e i passanti della strada.

Tutti erano invitati ad assaggiare le carni, i dolci e un bicchiere di vino.

Ormai al crepuscolo, i carri si rimettevano in marcia per percorrere gli ultimi tre chilometri per il rientro al paese dove si riportava il simulacro del santo nella chiesa parrocchiale. Questa era la notte del riposo. Domani si ballerà ancora, ma la festa era finita.

LA FESTA OGGI

La meccanizzazione dell’agricoltura ha causato la scomparsa totale dei buoi, sono rimasti pochi cavalli. Erano loro, e un poco anche il vino, i simboli animati e fecondi, i protagonisti e contribuenti della vita contadina; testimoni e compagni della comunità nella fatica e nella festa.

La loro scomparsa ha costretto ad una trasposizione degli elementi e servirsi dei mezzi meccanici in loro sostituzione. Trattori al posto dei buoi, macchine al posto dei cavalli e dei carri.

 

Però “sa tracca” viene allestita allo stesso modo, su un rimorchio trainato da un trattore. I carri vengono sostituiti da altri mezzi ma sempre addobbati allo stesso modo, con la stessa fantasia, con lo stesso amore e devozione.

 

Il viaggio con i suoi canti, il vino, l’allegria е la festa continuano ad essere quelli di sempre. Si é conservato lo spirito di festa popolare dell’intero paese, antica e contadina, senza cadere nelle ostentazioni folcloristiche o esibizioni.

 

Gli abitanti di Escolca si sentono gli eredi della terra, del sito, e del rito ancestrale, eredi sopravvissuti dei “sopravvissuti”. Partecipi di una eterna riconoscenza verso il Santo ed un territorio che è‎ la fonte di vita e di ricchezza delle sue genti.

Saranno sempre qui, uomini e coscienze, animali e macchine per rappresentare la storia, la fatica е la festa, finché il grande cuore di Escolca pulsa є pulserà di vita e di devozione. Ancora oggi il rito ed il villaggio sono rimasti fermi nel tempo e nello spazio.

Villaggio San Simone

La meccanizzazione dell’agricoltura ha causato la scomparsa totale dei buoi, sono rimasti pochi cavalli. Erano loro, e un poco anche il vino, i simboli animati e fecondi, i protagonisti e contribuenti

della vita contadina; testimoni e compagni della comunità nella fatica e nella festa.

La loro scomparsa ha costretto ad una trasposizione degli elementi e servirsi dei mezzi meccanici in loro sostituzione. Trattori al posto dei buoi, macchine al posto dei cavalli e dei carri.

Però “sa tracca” viene allestita allo stesso modo, su un rimorchio trainato da un trattore. I carri vengono sostituiti da altri mezzi ma sempre addobbati allo stesso modo, con la stessa fantasia, con lo stesso amore e devozione.

Il viaggio con i suoi canti, il vino, l’allegria е la festa continuano ad essere quelli di sempre. Si é conservato lo spirito di festa popolare dell’intero paese, antica e contadina, senza cadere nelle ostentazioni folcloristiche o esibizioni.

Gli abitanti di Escolca si sentono gli eredi della terra, del sito, e del rito ancestrale, eredi sopravvissuti dei “sopravvissuti”. Partecipi di una eterna riconoscenza verso il Santo ed un territorio che è‎ la fonte di vita e di ricchezza delle sue genti.

Saranno sempre qui, uomini e coscienze, animali e macchine per rappresentare la storia, la fatica е la festa, finché il grande cuore di Escolca pulsa є pulserà di vita e di devozione. Ancora oggi il rito ed il villaggio sono rimasti fermi nel tempo e nello spazio.

LA STORIA-LEGGENDA

Il possesso di questi terreni e del borgo da parte della comunità di Escolca ha origini lontane che ci riportano verso la prima meta del XVII secolo e qualcuno fissa l’abbandono del villaggio, da parte degli originari abitanti, intorno al 1612 a causa della peste che divampò in Europa e che non risparmi la nostra terra.

Le notizie storiche dicono che Mandas a causa della peste fu dimezzata. Contava infatti duemila abitanti е ne morirono oltre mille. Mentre Escolca perse solo tre abitanti.

La tradizione orale, testimonianza radicata profondamente nelle genti di Escolca, tramandata da generazioni di contadini e pastori, racconta che le popolazioni del luogo, decimate dalla peste e dalla carestia, andavano vagando e confuse, nutrendosi del poco che la natura offriva. Attaccati al loro villaggio е alla loro terra stentavano nel prendere la decisione di abbandonarli. La loro terra, la loro chiesa con i suoi simulacri li teneva uniti, consapevoli del rischio che una comunità, abbandonando il suo nucleo di origine perde anche la propria identità, le proprie radici, il culto ancestrale ‏e i riti che accomunano e uniscono.

Intanto cercavano, nei paesi confinanti, ospitalità e assistenza, ma si videro rifiutati da tutti; solo Escolca, povera e generosa offri loro quello di cui avevano bisogno. Fu cosi che gli abitanti di quel villaggio, in cambio dell’ ospitalità ricevuta, offrirono in dote il loro borgo e tutto il territorio alla comunità di Escolca.

Qualche tempo dopo però gli abitanti di Mandas, resisi conto dello sbaglio commesso nel non offrire ospitalità agli esuli di San Simone, spinti sia dall’ingordigia contestarono l’atto di donazione a favore di Escolca avendo preso atto di aver perso un territorio соsì fertile e prezioso. Debellata la peste, i pochi sopravvissuti della comunità originaria di San Simone fecero ritorno al Villaggio insieme con i loro “salvatori”. Ritornarono per festeggiare la sopravvivenza e per ringraziare il santo. Ma, in quell’occasione esplose la contestazione in merito alla donazione dell’intero territorio fatta a favore degli abitanti di Escolca.

La controversia andava per le lunghe e, allora, fu deciso di risolvere la questione, per esorcizzare i pericoli di una contesa che poteva sfociare in atti violenti, affidandosi ad una sorta di “giudizio di Dio e del Santo”.

Presero due buoi, uno di Escolca e uno di Mandas, li aggiogarono al carro sopra il quale era stata sistemata la statua del Santo. I bue vennero condotti verso una strada che giunta ad una biforcazione рoteva condurre о in direzione di Escolca о in direzione di Mandas. Convennero che il territorio sarebbe andato in dote alla comunità di appartenenza del bue che avrebbe portato l’altro verso la sua parte. La gente incitava e attendeva l’esito. Lo sforzo enorme dei due animali, nel tentativo di condurre il carro verso la propria parte, fece spezzare il giogo e il bue di Escolca ebbe la meglio, prevalendo sull’altro e indirizzandosi decisamente verso il proprio paese.

Venne cosi confermata definitivamente la proprietà del territorio alla gente di Escolca. Nacque sicuramente in quel momento la grande festa di San Simone, che si ripete ogni anno ancora oggi.

LA FESTA

La festa di San Simone si celebra nei giorni di Pentecoste. In passato si partiva da Escolca verso il borgo di San Simone la domenica di Pentecoste. Attualmente si parte il sabato nel primo pomeriggio, dopo aver celebrato una messa nella chiesa parrocchiale ed aver accompagnato il Santo in processione all’ingresso del paese in direzione di Gergei. Qui il sacerdote, dopo aver impartito la solenne benedizione, consegna il simulacro del Santo alla popolazione ed inizia il viaggio verso il villaggio.

Il viaggio della festa, momento determinante ed estremamente coinvolgente, è preparato con cura con molti giorni di anticipo.

І carri trainati dai buoi erano scortati ciascuno da un cavaliere con relativa dama seduta in groppa dietro di lui; amazzoni vestite di fiori e sorrisi di festa, coi vestiti più belli e preziosi.

Il corteo veniva aperto dal carro con il simulacro del santo. II primo carro era “Sa tracca”, che veniva curata in modo particolare. Infatti, si costruiva sopra il carro una specie di soppalco con la soffitta a volta, in tela di lino addobbata con stoffe preziose, tralci di pervinca e tanti fiori. Una croce veniva sistemata a prua della “tracca”. La croce costruita da abili mani contadine aveva le braccia di spighe di grano, scelte nei campi durante l’ultimo raccolto. Seguiva poi il carro dell’obriere, l’organizzatore della festa, che varia di anno in anno perché с’è sempre qualcuno che deve sciogliere un voto o ringraziare il santo.

Ogni carro conteneva il necessario per due giorni di festa, non mancava niente: materassi, stoviglie, acqua, ma soprattutto vino, agnelli, porchetti e quanto di meglio le massaie sapevano preparare.

Elemento fondamentale della festa era, inoltre, il suonatore del ballo sardo che faceva scatenare uomini, donne e bambini, Presi а braccetto si ballava in tondo nella polverosa piazzetta, i lunghi e faticosi balli venivano eseguiti dai ballerini sfidandosi nel compiere ardite acrobazie e incredibili “sciampittas”.

Era festa di popolo, era l’occasione per riunire le famiglie che avevano і parenti lontano e i visitatori venivano trattati come si conviene e si usa nelle nostre comunità.

Cavalli e cavalieri precedevano e seguivano la fila dei carri, carichi di persone che cantavano inni religiosi о canti pagani а seconda delle circostanze. Giravano le pesanti ruote dei carri, sfilavano sulla strada polverosa, trainati dall’incedere lento e solenne dei buoi, con le coma ornate di pomo di frutta rossa e il collo cinto da larghe collane di stoffa preziosa tessuta al telaio antico, con le figure stilizzate in rilievo e con, appese, campanelle di bronzo dal tintinnio allegro di festa.  

Attraversato il paese di Gergei, il viaggio continuava; si snodava la lunga fila dei carri tra l’allegria gesticolante e rumorosa; ognuno si lasciava dietro, almeno per due giorni, le angosce, le miserie e le preoccupazioni per il magro raccolto. Cominciava allora la girandola dei fiaschi e de “is cubeddas” (piccole fiasche di legno di castagno o di ginepro piene di buon vino) che passavano di mano in mano tra i cavalieri e i passeggeri dei carri, in reciproche offerte.

Vicini alla meta, quando già incombe il tramonto, si avanzava lungo argini colmi di spighe ancora verdi, si entrava nel villaggio con l’aria inondata di musica e canti.

Dopo aver sistemato bagagli ed animali nelle rispettive “lollas” e cortili, si rendevano gli onori al Santo, il cui simulacro era stato alloggiato nella chiesetta. Si incrociavano volti distesi e labbra oranti mentre bruciavano le candele di fede: piccole luci per la grande fiamma!!

Dopo la consumazione della cena e la recita del rosario cominciava la grande festa nel villaggio polveroso, nella piazzetta della chiesa il suonatore dava inizio al primo ballo. Il primo di una lunga notte che veniva consumata sia nella piazza sia in tutte le “lolle” del villaggio e terminava al sorgere del sole.

Intanto, ovunque, si offrivano caffè e dolci e tutti si mobilitavano per ргерагате il grande pranzo, da consumare dopo i riti religiosi: la processione, la benedizione dei campi e la messa solenne celebrata nella chiesa stipata all’inverosimile.

Il pranzo, il pasto principale, abbondante e ricco, veniva preparato con la partecipazione di tutti, uomini e donne, e consumato dentro le “lollas”, unico vano delle casette.

Finito il pranzo, iniziavano le visite agli amici, si cominciava con il giro delle lollas e con i balli.

Alla fine, pег il viaggio di rientro, si passava da Mandas con i carri che si rimettevano in fila per riprendere il cammino verso il centro di Escolca.

Ricominciava la danza delle fiasche, coinvolgendo chiunque si incontrava per strada. La prima fermata era (di regola) nella piazza principale di Mandas, dove i carri creavano po’ di trambusto ma l’aria di festa e di allegria collettiva cancellava presto ogni disagio.

La seconda e ultima sosta era per la “ merenda” e veniva fatta a meta strada tra Mandas ed Escolca, sui prati del bivio, in località Genniau.

La merenda era l’epilogo della festa, Іа chiusura in bellezza.… la fine dell’avventura e della favola era la baldoria finale che chiamava a raccolta i vicini abitanti di Serri e i passanti della strada. Tutti erano invitati ad assaggiare le carni, i dolci e un bicchiere di vino.

Ormai al crepuscolo, i carri si rimettevano in marcia per percorrere gli ultimi tre chilometri per il rientro al paese dove si riportava il simulacro del santo nella chiesa parrocchiale. Questa era la notte del riposo. Domani si ballerà ancora, ma la festa era finita.

LA FESTA OGGI

La meccanizzazione dell’agricoltura ha causato la scomparsa totale dei buoi, sono rimasti pochi cavalli. Erano loro, e un poco anche il vino, i simboli animati e fecondi, i protagonisti e contribuenti della vita contadina; testimoni e compagni della comunità nella fatica e nella festa.

La loro scomparsa ha costretto ad una trasposizione degli elementi e servirsi dei mezzi meccanici in loro sostituzione. Trattori al posto dei buoi, macchine al posto dei cavalli e dei carri.

Però “sa tracca” viene allestita allo stesso modo, su un rimorchio trainato da un trattore. I carri vengono sostituiti da altri mezzi ma sempre addobbati allo stesso modo, con la stessa fantasia, con lo stesso amore e devozione.

Il viaggio con i suoi canti, il vino, l’allegria е la festa continuano ad essere quelli di sempre. Si é conservato lo spirito di festa popolare dell’intero paese, antica e contadina, senza cadere nelle ostentazioni folcloristiche o esibizioni.

Gli abitanti di Escolca si sentono gli eredi della terra, del sito, e del rito ancestrale, eredi sopravvissuti dei “sopravvissuti”. Partecipi di una eterna riconoscenza verso il Santo ed un territorio che è‎ la fonte di vita e di ricchezza delle sue genti.

Saranno sempre qui, uomini e coscienze, animali e macchine per rappresentare la storia, la fatica е la festa, finché il grande cuore di Escolca pulsa є pulserà di vita e di devozione. Ancora oggi il rito ed il villaggio sono rimasti fermi nel tempo e nello spazio.